martedì 2 aprile 2013

Metti una donna nel titolo



Donne si nasce, non si diventa”, scrive Simone De Beauvoir ne “Il secondo sesso”.
Per chi pensa (ancora) che la donna sia il sesso debole, ci sarebbero metodi drastici da utilizzare, ma non voglio incitare alla violenza.

Nel caso di uomini si potrebbe rispolverare la soluzione presentata da Aristofane nella commedia Lisistrata, ovvero lo sciopero del sesso, ma temo non sia praticabile per una certa inflazione di possibilità “parallele”, quindi, per i casi più malleabili e per il genere di uomini che consiglio di frequentare opto per un metodo “letterario”.

Ovvero ci sono libri da leggere e far leggere. “Anna Karenina”, “Jane Eyre” e colleghe potrebbero essere donne che hanno amato troppo, ma anche donne con un certo carattere e doti invidiabili. 

Propongo dunque una breve lista, che renda omaggio alle grandi eroine letterarie che hanno visto il loro nome scritto a grandi lettere nel titolo di grandi libri.

Perché “dietro a un grande libro, c'è sempre una grande donna”. Gli uomini si rassegnino!

Anna Karenina (Lev Tolstoj, 1877). Prendo a prestito una recente e notevole riflessione di Abraham Yehoshua, per sottolineare come “Anna sfida l’istituzione matrimoniale. Non ha bisogno di un contratto legale per garantire il rapporto fra lei e l’uomo che ama, un rapporto che crede di poter mantenere vivo in forza della propria personalità e della propria bellezza”. Anna si prende totalmente la responsabilità di essere protagonista della propria vita sentimentale, prima rifiutando la proposta di divorzio pervenutale da Karenin e poi suicidandosi quando si accorge che la sua condizione non è più dettata da una libera scelta, bensì da una costrizione. In sostanza è, come ci dice Yehoshua, “la storia di una donna che aspira a raggiungere un qualcosa che molti vedono come una sfida, o una tentazione: mantenere un rapporto saldo tra due persone senza l’aiuto di stampelle sociali, legali o economiche. Un rapporto costruito esclusivamente sul lavoro dell’amore”. Che sfida!

Jane Austen
Emma (Jane Austen, 1815). Emma Woodhouse è descritta dalla Austen come bella, intelligente e ricca. Proprio quest’ultimo dato la rende indipendente ed “immune” all’amore, all’amore romantico, poiché non avrebbe bisogno del matrimonio per sostenersi economicamente. Non sempre simpatica ma briosa, combina una serie di guai, determinata a professare la sua anticonvenzionalità. In fondo pur con tutta la sua indipendenza e la sua insofferenza nei confronti di luoghi comuni e consuetudini “borghesi”, desidera anche lei l’amore, ma mantiene la sua originalità.

Jane Eyre (Charlotte Brontë, 1847). Una protagonista dotata di integrità, indipendenza, forza interiore, intelligenza e passionalità. Si rivolge al lettore in prima persona e sembra parlare direttamente alla sua parte più privata. Non me la immaginavo con il viso di Charlotte Gainsbourg nel film di Zeffirelli ma va bene lo stesso.

Leslie Caron in "Gigi
Gigi (Colette, 1944). Prima di Leslie Caron al cinema, prima di Audrey Hepburn a teatro, la graziosa Gigì, creata ed animata dalla penna di Colette, si rivela desiderosa e capace di essere padrona del proprio futuro. Nei confronti delle figure femminili con cui vive, nonna, zia e madre, e poi nel rapporto con il libertino e “sciupafemmine” Gaston, la ragazza (adolescente) con modi un po’ infantili ma comunque personali e con una certa autonomia, impone il proprio punto di vista e difende la sua volontà. Se è vero che il matrimonio non è né vietato, né imposto, a lei spetta la scelta dell’amore e di come essere felice, oppure infelice.

Lolita (Vladimir Nabokov, 1955). “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia”. Lolita è, in gran parte del romanzo, un mistero. Un personaggio ambiguo, enigmatico, nella sua apparente sfrontatezza, nelle bugie che dice alla madre, nel rapporto di sotterfugi che usa, prima per avvicinarsi ad Humbert Humbert, poi per allontanarsene, infine si rivela colei che sceglie, colei che seduce e decide da chi essere amata e chi amare.



Moll Flanders (Daniel Defoe, 1722). Il titolo completo recita più o meno così: "Le fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, che nacque nella prigione di Newgate, e durante una vita di continui cambiamenti per una sessantina d'anni dopo l'infanzia, fu per dodici anni prostituta, cinque volte moglie (compresa una volta con suo fratello), dodici anni ladra, otto anni delinquente deportata in Virginia; alla fine divenne ricca, visse onestamente e morì pentita. Trascritto dalle sue memorie." Altro da aggiungere?

Nanà (Émile Zola, 1880). La protagonista si serve di tutti gli uomini che incontra, ne assorbe denaro e risorse, fisiche ed economiche, ne dilapida i patrimoni. I ricchi uomini che se la contendono si rovinano pur di averla. Lei è causa di degradazioni, suicidi, annientamenti sociali e morali, disprezza quegli uomini che tengono nella miseria più nera la sua gente, li usa e li costringe a gesti sempre più umilianti, portandoli uno dopo l'altro alla rovina. Trasformare un emblema della "corruzione umana" in eroina non era così sconvolgente né strabiliante, nemmeno all'epoca, ma Zola, ancora oggi ricordato soprattutto per il suo "J'accuse", volle colpire al cuore la Francia del Secondo Impero (di fatto una dittatura) che aveva portato la decadenza dei costumi, l'ipocrisia, la corruzione, la dissolutezza, la putrefazione, il vizio in tutti gli ambienti, da quelli altolocati a quelli miserrimi. In questo modo Nanà diviene una vera eroina, padrona di sé e del proprio destino, fino alla morte.

La Signora Dalloway (Virginia Woolf, 1925). Confesso di averlo letto solo dopo aver visto “The Hours”, il film con le brave Meryl Streep, Julianne Moore e Nicole Kidman (andare al cinema aiuta anche ad arricchire le librerie!). Un giorno della vita di Clarissa Dalloway, e di altri personaggi a lei più o meno riconducibili. Un monologo interiore che ci presenta un percorso, una “guerra” interiore nell’animo di una bella e, in pubblico, ragionevolmente soddisfatta donna della borghesia inglese agli inizi degli anni venti. La sua condizione sociale e psicologica, così estremamente complessa e articolata, ci viene abilmente presentata, anche grazie al confronto con un personaggio maschile, drammaticamente segnato e ferito dagli eventi e dalle esperienze. Clarissa, ci viene detto, si salva, sceglie la vita, pur con le imperfezioni, le nostalgie e le insoddisfazioni che comporta, il suo “alter ego” (passatemi questa semplificazione) sceglie invece la morte, poiché consapevole della bellezza della vita, la sente interamente e completamente, perciò ne soffre. In fondo Clarissa Dalloway si riconosce ed in qualche modo si accetta. Mi sbilancio nel dire che, da uomo, in alcuni momenti di chiara consapevolezza di me e di miei precisi limiti e “piccolezze”, ha avuto la meglio un certo sconforto.

Per i più piccoli e le più piccole:

Heidi” (Johanna Spyri, 1880);
Coraline” (Neil Gaiman, 2002):
“Pippi Calzelunghe” (Astrid Lindgren, 1945).

Nessun commento:

Posta un commento