giovedì 19 giugno 2014

La Croce sulla Montagna



Conoscete Caspar David Friedrich?
No, no, non è un attaccante della nazionale della Germania est anni 70, nemmeno il nome di un criminale nazista o di un membro dei Kraftwerk.

Caspar David Friedrich era un artista, un pittore nello specifico.
È l’autore de “Viandante sul mare di nebbia”, dipinto ad olio su tela, probabilmente la più famosa delle sue opere.


Ovviamente ha fatto anche altro, per cui, seguendo la profonda suggestione in stile pubblicità della Opel, “noi tedeschi lo facciamo meglio/io mi fido delle tedesche”, propongo il dipinto “La Croce sulla Montagna”.

Cosa presenta di tanto particolare questa pala d’altare, realizzata per la cappella privata del Castello di Tetschen, in Boemia?


Ebbene parto un po’ da “lontano”. La riforma protestante, inaugurata dal buon Martin Lutero, aveva già da qualche tempo rivoluzionato l’iconografia religiosa nei paesi di lingua ed influenza tedesca. Per cui l’intero repertorio artistico, fatto di dipinti, statue, edifici di culto ed altro ancora si distingue, sempre più nettamente, da quello presente nei paesi rimasti “fedeli” alla Chiesa di Roma ed al suo papa.

Insomma si abbandonano Gesù sanguinanti e mezzi morti, santi martirizzati e sofferenti, sante che presentano su vassoi occhi, seni ed altre parti anatomiche mozzategli, non trovano più spazio quell’intero armamentario di fedeli piangenti ed invocanti ed i ritratti dei vari committenti che, importuni e vanitosi, volevano essere inseriti nei dipinti e nei quadri.

In particolare la rappresentazione della “Passione” di Gesù, il cristo, nell’opera di Friedrich, è lontanissima dall’atmosfera solenne, dorata, eccezionale (propria di un’eccezione) presente nelle opere precedenti, “rispettose” dei dettami della chiesa cattolica. Quell’ambientazione ed atmosfera volutamente (e colpevolmente) investita del compito di astrarre dalla realtà l’evento, infondendogli ieracità, lascia il posto ad una rappresentazione, semplice e molto vera, comune, della realtà.

La croce, simbolo del martirio del “figlio di Dio”, è poco più di una linea scura, inserita in un paesaggio molto “vero”, quasi banale. Un paesaggio di montagna, come ce ne possono essere tanti in Germania od Austria, cosicché ognuno dei fedeli possa riconoscerlo e ritrovarlo nella sua quotidiana esperienza. Ovvero semplicità, elementi quotidiani, un luogo molto familiare che trasmette il senso di una fede alla portata di tutti. Non più misteriosi e lontani dogmi, ma una spiritualità quotidiana, dove ogni fedele riconosce e si riconosce nella Passione del cristo, tanto vicina a lui e, per così dire, “alla sua portata”, da essere rappresentata lungo un comune sentiero di montagna che è possibile percorrere e vivere nel proprio ambiente. Ogni singolo protestante se ne sente coinvolto e accoglie il senso di un’esperienza e della sua rappresentazione.

Ancora più impressionante è la potenza della scelta di inserire una rappresentazione della natura, semplice, ma senza abbandonare la suggestione della fede, in una pala d’altare di ispirazione gotica.

Siamo così di fronte all’incontro fra lo stile ed il rigore luterano ed il Romanticismo in campo artistico e letterario. L’unione di questi elementi è di grande impatto e potenza, arriva al cuore di chi osserva l’opera.

Spiritualità religiosa e spiritualità romantica si donano vicendevolmente forza. La Fede e la Natura esaltano un duplice messaggio, con quella luce che, apparentemente senza ragione, proviene dal basso anziché dall’alto. Nessun sole, luna, stella od altro astro dona luminosità allo splendido paesaggio, ma è la Natura stessa, la terra che sprigiona luce, innescata dal noto episodio evangelico.

La spiritualità romantica pone al centro la Natura, che non funge più da sfondo ma è vera protagonista dell’arte, in tutto il suo splendore ed il suo potere di conquistarci e metterci nella condizione di contemplarla, per trovare un senso alla nostra vita, per allontanarci da interpretazioni e dibattiti teologici e condurci a vivere sensazioni, misticismo ed emozioni.

D’altra parte il filosofo Friedrich Schelling, in quegli stessi anni, diceva che “la Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito è Natura invisibile”.

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