giovedì 5 febbraio 2015

Dylan Dog e il Pop. #341 Al Servizio del Caos



Credo di non sostenere nulla di particolarmente originale scrivendo che Dylan Dog era parte della cultura pop negli anni 90. Contribuiva, in modo sostanziale e con qualche grado di sfrontatezza, a definire cosa rientrasse nel pop. È divenuto un fenomeno di costume, nel senso e nell’accezione più “nobile” dell’espressione. C’erano mode e invaghimenti vari, in campo fumettistico, letterario e culturale ad ampio raggio, ma Dylan Dog comunque rimaneva visibile e “vivo”, dettando in un certo modo “la linea”. Ero giovane e anche un po’ suggestionabile, ma avvertivo la potenza di quegli albi in modo discretamente lucido, non solo sulla base della diffusa consuetudine di acquistarne uscite originali e varie ristampe.



Era genuinamente pop e ci si occupava del fenomeno e dei suoi lettori in modo serio e puntuale, per cui si delineava come una componente imprescindibile per comprendere una parte della cultura, giovanile e non solo, di quegli anni. Riferimenti, ispirazioni, rimandi e citazioni erano a volte evidenti, talvolta nascosti o “sottili”, ma ogni storia assumeva la dignità di un’opera letteraria, artistica e di costume contemporanea.


Nel corso degli anni qualcosa è andato perduto, o solamente si è “diluito”, ma la testata Bonelli con quel nome insolito e riconoscibile è rimasta presente e ha continuato a far parlare di sé, anche se spesso con non troppa benevolenza.



Il sottoscritto già in altre occasioni ha tentato di scrivere del “nuovo corso”, inaugurato sulla “pelle” dell’Indagatore dell’Incubo. Ora, grazie alla lettura del n. 341, “Al Servizio del Caos”, tento di proporre una riflessione sul rapporto fra Dylan Dog e pop.
Da qualche mese le storie proposte, i disegni e le copertine degli albi sono tornate ad infarcirsi in modo massiccio ed evidente di rimandi e riferimenti al pop.
“Al Servizio del Caos” non solo non fa eccezione, ma potrebbe essere preso a modello per illustrare una tendenza, qualcosa che potremmo definire uno stile ed una modalità di gestione della testata e del personaggio.

Facciamo la conoscenza di John Ghost, nuova nemesi di Dylan. Chi pensava di trovarsi di fronte ad un novello Xabaras sarà sorpreso da questo personaggio, che ha tutte le caratteristiche per essere qualcosa di più di un elemento accessorio alla vita dell’inquilino di Craven Road 7. Per essere obiettivi, o almeno provarci, in quest’albo John Ghost risulta un po’ marginale. 

Dopo l’incisiva, sintetica presentazione dello stesso, nobilitata dai disegni di Stano, il personaggio rimane defilato e non sembra si sia riusciti, pur all’interno di una efficace sceneggiatura, a far passare in modo chiaro quale sia il suo ruolo e la portata delle sue azioni e “non azioni” nel corso della storia rappresentata. Anche il buon Dylan sembra più una pedina, soggetta a subire comportamenti, macchinazioni e decisioni di altri. Non si riesce a farsi bastare quello che si vede e si intravede. È un meccanismo, un artificio ormai ben acquisito e che è stato più volte proposto da tante (troppe?) serie TV e fiction, specialmente USA e più o meno recenti. 

Qui risiede il primo elemento degno di nota. Determinati schemi e modalità di gestione mutuati dalla TV hanno impatto e “catturano”, ma per quanto? Soprattutto la scelta di affidarvisi segnala che sono le serie TV, cultura pop evidentemente, ad influenzare Dylan Dog, che rischia di esservi omologato. Non farebbe cultura, quindi, ma, nella migliore delle ipotesi, ne utilizzerebbe, in modo un po’ pedissequo, un elemento.
Inoltre, sempre rimanendo sul n. 341, le diffuse citazioni e richiami al contemporaneo, ai suoi volti e situazioni fanno perdere distinzione e originalità al media fumetto.
Mi spiego: il fumetto non è radio, non è televisione, bensì qualcosa di diverso, vive nel mondo in cui vive il lettore, ma allo stesso tempo è un “luogo” dove viene creato un mondo “altro”, che vuole e può essere estraneo (totalmente o in parte) a quello in cui viviamo, persino “sospeso”, se ci intendiamo sul termine. Dylan Dog, invece, consapevolmente oppure no, sembra intenda abbattere questa  fragile e ideale barriera. Con una certa decisione, tra l’altro, altrimenti non si giustificherebbe l’impressione di essere ancora davanti alla TV mentre leggiamo “Al Servizio del Caos”.


John Ghost va a cena da Gordon Ramsey, Dylan incontra Alan Moore che vive nella casa dove ha passato l’infanzia James Bond, il sistema operativo del telefono protagonista richiama un recente film di Spike Jonze. Attualizzazione del personaggio e del contesto in cui vive, si dice da circa due anni. Ma che Dylan abbia visto “Skyfall” e ne sia anche entusiasta stona un po’ con il suo carattere. Insomma elementi nuovi ed “originali”, ma che potrebbero risultare difficili da gestire nel lungo periodo, ammesso che Dylan Dog possa continuare ad essere una testata seriale classica e non “a stagioni”, come accade, con buoni ed intriganti effetti, con altre storie e “caratteri”.

Dylan Dog, al momento, contiene cultura pop, non la sta facendo. Le frasi più incisive pronunciate da John Ghost sono quelle di Joker ne “Il Cavaliere Oscuro” e anche il nostro Old Boy abbandona, nel suo eloquio, determinate peculiarità proprie e “riconoscibili” che lo rendevano differente e distinto dai personaggi reali.

Un ultimo appunto: “Al Servizio del Caos” rischia di non trovare un equilibrio interno, sia preso singolarmente che all’interno di una serie. Risulta un albo impegnato su temi sociali e filosofici e la critica verso il capitalismo è evidente. Trova spazio il tema della pervasiva diffusione della tecnologia, tale da rendere schiavo chi ne fa uso quotidianamente. Si condanna l’edonismo ed il consumismo, possibile grazie allo sfruttamento di intere popolazioni, viene evidenziato il controllo costante di ogni singolo dato che passa attraverso gli smarthpone. Quasi una storia a tema, con un certo sapore di già visto, al limite della scarsa incisività. Rimane comunque il dubbio che autori e curatori ci stiano ancora prendendo le misure, come si dice, ma avverto la sensazione che si sia alla ricerca di un pubblico “nuovo”, a cui certi meccanismi e strategie vanno maggiormente congeniali rispetto a chi ha cominciato ad acquistare Dylan Dog pagando in lire e lo leggeva durante le ore di latino.


Per le cose che mi sono piaciute mi riservo un altro post.

Nessun commento:

Posta un commento